La Contessa Barbera e la Monsterrato ( 3- continua) Storia di uomini e di cavalli dal Monferrato grande cuore gravel
(Finale parte seconda) … Meo d’istinto pensò di aver dormito troppo e si preparò all’arrabbiatura degli altri artieri che sicuramente avevano dovuto fare il suo lavoro. Poi si girò, vide Roccia che lo guardava appoggiato sulla zampe posteriori, gli occhi di Contessa che lo scrutavano dal box e ricordò tutto. Anche di come si era ridotto. Si lasciò cadere a terra strisciando la schiena lungo il muro, guardò Contessa e Roccia per qualche interminabile secondo, poi venne travolto dall’emozione. Nessuno, prima, lo aveva visto piangere.
(Parte terza) Solo tre mesi erano trascorsi da quell’alba dolce e tremenda. Eppure all’allevamento Semper Fidelis – nel cuore del #Monferrato casalese – si respirava già aria nuova, frizzantina. Come folgorato dagli sguardi delusi e tristi della Contessa e di Roccia, Bartolomeo Berazzani era diventato un altro uomo, o quantomeno stava lottando per ritornare quello di prima. Quello che ne restava. Dopo aver dato un taglio al vino (raramente più di un bicchierino di #Barbera a cena), aveva preso in affitto una villetta nella vicina #Mirabello. La casetta mostrava dentro e fuori tutti i segni tipici degli anni di abbandono, ma per Meo andava benissimo. Aveva pure fatto qualche lavoretto: una bella mano di bianco alle pareti, il nuovo boyler per l’acqua calda ed il riscaldamento.
BRAGHE BIANCHISSIME Con quali soldi? Con quelli di Michele Novaro, 63 anni, uomo di classe e di cultura che per seguire le orme di papà Graziano si era dedicato fin da ragazzino all’allenamento dei purosangue. Guardandolo al tondino mentre dava le ultime istruzioni al fantino di turno o in scuderia mentre – elegante come sempre – verificava che le carote fossero tagliate giuste e nella misura esatta, lo avresti potuto scambiare per un aristocratico, un notaio, un nobile, un industriale di quelli dalle braghe bianchisssime capitato lì per sbaglio.
GRANDI VETRINE Aramis, Tarragona, Prince d’Altar, Blith Valley, Theodore, Snake Valley e Pytagoras le sue creazioni migliori, purosangue capaci di vincere in Italia e all’estero. Memorabile la rimonta di Snake Valley a Longchamp, con i francesi che ancora gli bruciano. Di contorno ai campioni, una pletora di buoni cavalli, ben allenati, che con piazzamenti e qualche vittoria si guadagnavano vitto ed alloggio e soprattutto contribuivano a tenere in piedi fior di scuderie. Era però Veragna, la mamma di Contessa, la cavalla nella quale Michele Novaro aveva riposto i suoi sogni più segreti. Per lei – e per se stesso – prevedeva grandi vetrine. Ci credeva ciecamente. Vederla rovinarsi contro lo steccato a gara ormai vinta era stata una coltellata dritta al cuore.
IL VIZIETTO Mai aveva dimenticato. Mai aveva perdonato Meo per non aver saputo correggere quello scarto improvviso, vizietto ben conosciuto, che aveva stroncato sul nascere la carriera alla “sua” cavalla. Da quella maledetta domenica di corse a San Siro si era via via affievolita anche la passione per il lavoro sui cavalli. Un amore rinato con la nascita di Contessa, ma definitivamente chiuso con la cessione agli americani della prima figlia della “sua” cavalla.
LA FIAMMELLA Ora Novaro si godeva la vita, coltivando la passione per le barche a vela e la mania dei trenini elettrici. Il suo rapporto con i cavalli si limitava a rare comparsate a San Siro per corse importanti. “Sei pronto a tornare, eh?”, lo provocava a volte il vecchio Mario Canali, decano tra i giornalisti di cavalli anche se al trotter non lo si vedeva quasi mai, scorgendo quella fiammella ancora viva negli occhi di Novaro quando i cavalli imboccavano la dirittura d’arrivo. Ma a tornare ad allenare, Michele Novaro neppure ci pensava.
INTELLIGENZA FINA Impossibile per lui accettare quello che era successo a Veragna, faticava persino a guardare negli occhi senza rancore il Meo, che – uomo ignorante per cultura ma dall’intelligenza fina – soffriva per quell’odio che percepiva e che, in cuor suo, pensava di non meritare. I rapporti tra Romano e Meo, attori per vent’anni di un connubio strettissimo fatto di stima, rispetto, capacità e confronto, si erano via via raffreddati, chiusi del tutto quando Meo perse la testa per una nobildonna istriana (così almeno lei sosteneva). “Quella gli mangia fuori tutti i soldi e poi gli dà un calcio nel sedere”, sussurrava Romano agli amici più intimi.
QUEI 100 METRI Detto, fatto. “Mi dicono che Meo viva sulla strada, un barbone mezzo alcolizzato e senza più un soldo – disse Novaro al Conte Branca quel giorno, mentre gli consigliava l’acquisto giusto alle aste di puledri – Non ha un posto per lui in allevamento? Spazzare nelle stalle, andrebbe già bene, lo togliamo dalla strada. Se combina qualcosa ne rispondo io. L’importante è che lui non sappia del mio interessamento”. Così si era aperto il capitolo della difficile e per molti improbabile rinascita di Bartolomeo Berazzani, detto Meo ( solo l’Adele in Osteria poteva chiamarlo ancora BarBera”), la cui pagina più recente narrava di un fresco secondo posto conquistato con i denti e con tutto quello che aveva in corpo in una corsetta di basso livello. Malgrado la vita nuova, il problema rimaneva quello vecchio: riusciva a spingere forte solo negli ultimi 100 metri, poi la corrente si spegneva, faticava a respirare, non riusciva più ad esaltare il galoppo del cavallo. L’incidente con Veragna aveva segnato per sempre il suo fisico eppure, rientrando al tondino elegantissimo nel portamento e nella tutina bianca e rosa, Bartolomeo Berazzani si sentiva di nuovo un fantino, oltre che un piccolo uomo scampato dall’inferno. “Bravo Meo”. gli aveva gridato uno cavallaro dalla tribuna.
IL DESTINO Ma Contessa? Che cosa stava facendo la Contessa in Monferrato, chiusa nella sua linda scuderia o libera al pascolo con l’inseparabile Roccia a fianco? Che cosa le stava preparando per lei il destino?
di Claudio Luigi Bagni
( 3- continua)
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