LA CONTESSA BARBERA (racconti dal Monferrato cuore gravel)
“Tires su da quel tavulin lì, Barbera!. Al telefono c’era il Franco, lei è appena atterrata alla Malpensa. Il tempo di sistemarla e tra un’oretta,. massimo due, sono qui. Ma, ci pensi…, te ghe penset Barbera?…. L’è turnada la Contessa!”
SPIGOLOSO Adele Chiriotti. proprietaria ed anima del Bar Tris nel cuore del Monferrato vero, due vetrine vecchio stile sul periferico viale Neruda che dall’altro lato ospitava l’ingresso dell’allevamento Semper Fidelis, era corsa dalla cucina alla stanza del bar dopo aver riattaccato con insolita energia la cornetta al vecchio telefono nero a muro. Finchè funzionava, non ne voleva sapere di quelle nuove diavolerie bianche dai tasti dove “se capìs nagòt”. Qualche giorno prima, anzi, aveva litigato con il tecnico-cliente-amico della Stipel che voleva a tutti i costi cambiarglielo. Adele, donnino sulla settantina dal carattere forte e spigoloso come i lineamenti del volto incastonato da un caschetto di capelli ormai grigio, pareva infervorata. parlando a voce alta e concitata a quell’omettino mezzo addormentato, stravaccato sul tavolo all’angolo più lontano del locale, il suo solito, con un bicchiere di rosso dal quale centellinava il fondo ed il calice da mezzo litro che un’oretta prima era pieno. Avrebbe potuto essere messo ubriaco, a quell’ora del pomeriggio quasi sempre lo era. Ma mai al punto da perdere la lucidità felina.
L’ECCEZIONE “Quando lei ti vedrà in queste condizioni – e l’Adele calcò ancora di più il timbro della voce su quel “lei”, come parlasse di una persona davvero importante – non ti riconoscerà. Oppure penserà che sei diventato una bestia, e sai che lei le odia”. Con una eccezione: Roccia, quel bestione, un pastore bergamasco dal mantello nero con boccoli alla rasta, un pelaccio folto così – spesso puzzolente a seconda di dove andava a ficcarsi- che lasciava intravvedevano a fatica gli occhi più neri ancora del pelo e la rossa lingua penzoloni. Lei e Roccia erano cresciuti insieme, si cercavano come legati da una misteriosa simbiosi. Quando lei non era in trasferta, la notte dormivano fianco a fianco. O meglio, lui dormiva disteso sulla soglia della stanza dell’amica, un occhio sempre aperto. come volesse, dovesse proteggerla da tutto e tutti. Come se lei, grande cinque volte tanto.- e con quel caratterino da maschiaccio – ne avesse bisogno.
IL RITUALE La Contessa e Roccia erano cresciuti insieme, erano diventati inseparabili. Da 3 anni ormai lei era partita, eppure ogni giorno Roccia passava con la tipica andatura al trotto davanti all’appartamento della sua amica, lasciato rigorosamente vuoto e tenuto sempre lindo. Pronto. Tutte le volte si fermava un attimo lì davanti , aspettando – chissà – di vederla spuntare come in mille altre occasioni. Ormai era un rituale quotidiano. “La ghè no, Roccia, non c’è”, lo apostrofava spesso Pino. lo stalliere zoppo responsabile di quell’ala delle scuderie. Il calcione di un vecchio purosangue grigio, un broccone irascibile e incattivito dal doversi spaccare i tendini nelle corse ad ostacoli, gli aveva spappolato un ginocchio mettendo fine sul nascere alla promettente carriera di fantino. Il vecchio purosangue grigio aveva poco dopo finito la sua corsa sul bancone di un macelleria equina, il Pino si era inventato quel nuovo lavoro grazie anche alla generosità dei Conti Branca, allora proprietari dell’allevamento. “Chissà vecchio mio – aggiungeva a volte il Pino parlando con Roccia -, magari prima che io e te tiriamo le cuoia ci capiterà di poterla riabbracciare, ci pensi?” E nel dire queste parole, lo sguardo di Pino sfuggiva sempre verso la foto di lei, la Contessa, attaccata al cancelletto. E tutte le volte si commuoveva, fino alla lacrime E se quel modo di muovere le orecchie di un pastore bergamasco nascondeva il pianto, c’era da scommettere che piangeva anche Roccia. Partendo a sorpresa per l’America, la Contessa aveva lasciato un vuoto amaro, doloroso. E il trascorrere del tempo non aveva attenuato la nostalgia di chi le aveva vissuto accanto, di chi aveva diviso con lei gioie e delusioni
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LE BIZZE Scosso per il bavero dall’Adele, Bartolomeo Berazzani, ora conosciuto come Bar-Bera, 148 centimetri di bassezza per un peso forma di 42 chili, fantino popolare fino a 4 anni prima negli ippodromi con il nomignolo di Meo, si alzò a fatica e barcollando si diresse verso l’uscita del bar. “Che cosa vuoi che me ne freghi se adesso ritorna – bofonchiò l’omettimo dai capelli neri corti e radi, gli occhietti spiritati a fessura, il naso sottile ma lungo e la bocca appena accennata, come un tratto di matita, trasandato dalla camicia sporca e dalla barba di tre giorni – Quella stronza e le sue bizze mi hanno rovinato… proprio a un poveretto come me”.
“La vita te la sei rovinata con le tue manine – lo contraddisse subito l’Adele – . Le tue manine e quella principessa che ti voleva così bene da mangiarti via tutti i soldi. Vai via che mi vegn el nervus. E stai attento alle macchine che l’altro giorno hanno tirato sotto l’Augusto. Ti aspetto alle 8, stasera minestrone”.
BAR-BERA 4-14-20-24: gli orari che da 4 anni scandivano la vita di “Bar-Bera” Bartolomeo Berazzani, . Alle 4 in piedi per qualche lavoretto in scuderia, alle 14 al bar del’Adele per il mezzo di Barbera, alle 20 la cena misericordiosamente offerta dall’Adele, a mezzanotte a letto sul pagliericcio di una scuderia, che tanto il fieno tiene caldo anche d’inverno, basta buttarcisi sotto. Di buono. a volerlo proprio cercare, c’era che la dieta spartana (oltre che gratis) gli aveva permesso di mantenere quasi il peso forma . “Se ti allenassi e bevessi un po’ di meno potresti tornare a fare qualche monta “, gli aveva stranamente detto quella mattima il Pino. Ma Berazzani, tormentato spesso dalla tentazione di farla finita, neppure ci pensava. I tempi del “Ma vieni Maeo!” urlato dalle tribune erano lontanissimi. E lui quella sera era talmente sbronzo che tornando nella suite con pagliericcio in scuderia non si accorse del nobile profilo sauro con la solita mascherina bianca sul muso e del vecchio Roccia che lo osservavano straniti da un box non più vuoto dopo anni.
E ADESSO? Che cosa cosa stava per succedere all’allevamento Semper Fidelis e – chissà – nella vita di Bartolomeo Berazzani, una volta Meo ed oggi BarBera? E soprattutto, chi è questa Contessa?
di Claudio Luigi Bagni
(1 – continua)
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