“Ma di chi è quel cagnaccio che fa la posta al cancello?” pensò tra sè Augusto. “Daniela, dov’è la Doggy? Hai visto quel bastardone là fuori? Non vorrei che…” “Cagnaccio mica troppo – rispose Daniela, moglie e veterinario, dopo aver sbirciato dalla finestra ad oblò del lungo corridoio nel villone settecentesco del Monferrato casalese -. Sembra la copia della Doggy, forse un po’ più grande”.
“Ok, ma Doggy dovè?”, insistette Augusto
“E’ giù in cortile che controlla Roberto e Luana”, garantì Daniela. Roberto,
Luana, Augusto ed ovviamente Daniela erano il nuovo gregge di quel cane entrato in casa Scagliotti tre anni prima. Daniela ed Augusto stavano rientrando da una battuta a funghi sulle prealpi biellesi quando si erano accorti di quel can che si seguiva a debita distanza. Era così magro che gli si contavano le costole, ma il suo sguardo aveva qualcosa di così orgoglioso. dolce e triste che riuscì a scalfire il dogma ferreo di Daniela: ” Mai animali in casa, già troppi quelli in ambulatorio”. Adesso, dogma ferreo, Daniela e Doggy erano inseparabili, amiche e complici. Ovviamente contro l’Augusto, che nella poteva fare. “Cane da pastore del biellese – aveva sentenziato e sottoscritto la veterinaria Daniela dopo qualche mese di tentennamenti – Conosciuto anche come Cane d’Oropa”.
Ciclismo e strade bianche erano la grande passione di Augusto Scagliotti. Guai a chi gli toccasse le sue gravel. in particolare quella costruitagli addosso come un abito da Edo Bo, gran talento per i telai e per gli affari al punto che tra gli amici era conosciuto come “il gioielliere”. Augusto, che si stava allenando per la Monsterrato, pedalava di buona lena imboccando una salita su strada bianca quando, all’uscita dalla prima curva secca a destra, si trovò davanti un muro bianco: un enorme gregge di pecore che risaliva l’erta, lemme lemme, fitto fitto. Un fiume bianco che occupava tutta la stradina. Che fare? In coda un vecchio pastore con la tuta una volta blù di quelle da meccanico e poco più avanti il suo cane, un bastardaccio che ricordava un pastore tedesco. Ma soprattutto, all’Augusto ricordava tanto il cagnaccio di posta fuori dalla sua porta. L’orecchio sinistro biancastro testimoniava anzi che fosse proprio lui. “Non aver timore – tuonò il pastore, adesso chiamo il cane…. “Bocia, viè qua. Avanti, avanti, adesso ci pensa lui”. Poi il pastore confabulò qualcosa con il cane, qualcosa che l’Augusto, seppur gli stesse a fianco, non riuscì a capire. Pareva parlassero una lingua marziana. Però si vide Bocia schizzare come una molla e risalire il gregge fino alla cima. Poi, una volta all’altro capo, iniziò a ridiscendere spingendo senza troppi complimenti le pecore, almeno un centinaio, a ridosso del costone a sinistra, liberando mezza carreggiata della stradina. Quando a lavoro fatto tornò dal pastore, guardò l’Augusto, risalì a metà del gregge e si è sedette sulle zampe posteriori, col linguone bluastro che penzolava fuori. Quando Augusto gli passò davanti, vide grandi occhi seminascosti dal pelo che lo scrutavano orgogliosi. E per la verità, sembrò all’Augusto – che però di cani poco capiva – anche un po’ birichini. Che cosa volesse dire quello sguardo, Augusto lo capì il mese dopo: la veterinaria Adriana saltellava attorno a Doggy indaffaratissima ed entusiasta, come fosse diventata lei mamma per la terza volta
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